Giunti a questo punto del nostro
percorso alla scoperta dei vari aspetti del fenomeno impattivo, a qualcuno potrebbe venire
spontaneo trarre questa conclusione: ora che sappiamo quali sono gli oggetti astronomici
più indiziati per assumere - Dio non voglia - il ruolo di possibili impattori del nostro
pianeta (i N.E.O.) non ci rimane che tenerli d'occhio e tutto si risolve
Già: tenerli d'occhio.
Leggendo ben bene quanto si è detto a proposito di questi oggetti dovrebbe essere chiaro
che abbiamo a che fare con corpi celesti estremamente sfuggevoli, anzitutto in forza delle
loro ridotte dimensioni (sempre sufficienti, comunque, a combinare un gran bel guaio), ma
ancor di più perché è altrettanto ridotto il numero degli astronomi che si occupano del
loro studio e della loro individuazione. Qualcuno ha detto, a questo proposito, che
ci sono più operatori in un punto di ristorazione Mc Donald che scienziati che si
occupino dell'individuazione dei N.E.O
.
Certo si tratta di una esagerazione, ma rende molto bene la scarsa considerazione che,
fino a non molto tempo fa, l'opinione pubblica (ed anche il mondo scientifico) aveva delle
problematiche connesse con la caduta di oggetti cosmici sulle nostre teste.
Fortunatamente sembra che, finalmente, si stia acquisendo la coscienza del rischio e si
stiano predisponendo efficaci scelte operative per valutarne la portata e porvi rimedio.
Anche il mondo politico-istituzionale si è fatto carico di questa preoccupazione, come
traspare dalla risoluzione del 20 marzo 1996 del Consiglio d'Europa:
Assemblea
Parlamentare
del Consiglio d'Europa
Risoluzione in merito all'individuazione
di asteroidi e comete
potenzialmente pericolose per il genere umano.
Vi sono
due vaste categorie di oggetti celesti che possono avere un potenziale impatto con il
nostro pianeta: le comete e gli asteroidi. Generalmente sono conosciuti tra i planetologi
con il nome di Near-Earth Objects (NEOs). A quanto ammonti il loro numero complessivo non
è noto, ma si stima che il numero degli Asteroidi Earth-Crossing con dimensioni superiori
a 1 km sia circa 2000. Tali oggetti sono i più pericolosi e di essi soltanto una piccola
frazione è stata finora scoperta.
Considerando che l'esplosione nei pressi della
superficie terrestre di un qualunque oggetto con diametro di 50 m può avere gli stessi
effetti di un'arma nucleare di 10 megaton, le conseguenze di un impatto più grande
potrebbero essere disastrose su scala globale. Gli esempi più recenti e più noti sono l'evento-Tunguska
(causato dall'esplosione di un NEO con dimensioni di circa 60 metri al di sopra della
tundra Siberiana nel 1908, con la conseguente distruzione di oltre 2000 km quadrati di
foresta in gran parte disabitata) e il violento impatto su Giove dei frammenti della cometa
Shoemaker-Levy nel luglio 1994; questi frammenti avevano all'incirca dimensioni di
appena 500 metri, ma causarono devastazioni su aree vaste molto più della Terra.
Continuamente, poi, si rinvengono sul nostro pianeta tracce di impatti minori, e anche
testimonianze fossili di eventi catastrofici avvenuti in passato.
Il complesso di informazioni
ormai rilevante acquisito negli ultimi anni in merito alla collisione con comete e
asteroidi indica come essi siano in grado di innescare catastrofi ecologiche su larga
scala e persistenti nel tempo, culminanti talvolta persino con estinzioni di massa delle
specie viventi; impatti di questo tipo rappresentano dunque una minaccia alla stessa
civiltà umana.
Benché, statisticamente
parlando, il rischio di un impatto di grandi dimensioni nel prossimo futuro sia basso, le
conseguenze sono talmente vaste che si deve incoraggiare qualunque ragionevole sforzo
destinato a minimizzarlo.
Per questi motivi l'Assemblea
accoglie di buon grado le varie iniziative - il rapporto Spaceguard Survey pubblicato
dalla NASA, la creazione di un Gruppo di Lavoro sui NEO dell'Unione Astronomica
Internazionale, e la recente decisione di promuovere una Fondazione Spaceguard per
coordinare gli sforzi a livello internazionale - come passi importanti in grado di aprire
la strada allo sviluppo di un programma di sorveglianza a livello planetario con l'intento
di scoprire tutti i NEO potenzialmente pericolosi e simulare con il computer le loro
orbite nel futuro in modo da prevedere con l'anticipo di qualche anno qualsiasi impatto,
consentendo così di intraprendere quelle azioni preventive che si rendessero necessarie.
L'Assemblea invita i governi
degli stati membri e l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) a stimolare il sorgere e lo sviluppo
della summenzionata Fondazione Spaceguard e dare il necessario supporto ad ogni programma
internazionale che si prefigga di:
1) fare l'inventario il più possibile completo dei NEO, con maggiore
riguardo agli oggetti con dimensioni superiori a 0.5 km;
2) favorire le nostre conoscenze delle caratteristiche fisiche dei NEO e
nello stesso tempo approfondire i fenomeni associati ad un possibile impatto, al mutare
del livello di energia cinetica e composizione dell'impattore;
3) tenere regolarmente sotto controllo gli oggetti scoperti per il
periodo di tempo necessario a renderci capaci di calcolare con sufficiente precisione le
loro orbite, affinché ogni possibile collisione possa essere prevista con largo anticipo;
4) assicurare il coordinamento delle iniziative nazionali, la raccolta e
la diffusione dei dati, e una giusta distribuzione di osservatori nei due emisferi;
5) partecipare a programmi osservativi dal suolo e a quelli che più
efficacemente possono essere svolti dallo spazio;
6) contribuire ad una strategia globale a lungo termine per trovare i
rimedi al verificarsi di possibili impatti.
Strasburgo, 20 Marzo 1996. |
Possiamo far risalire al 1979 il
primo tentativo di pianificare una ricerca dei N.E.O., quando E. Shoemaker ed E. Helin
utilizzarono il telescopio Schmidt di 46 cm dell'Osservatorio di Monte Palomar in
California per fotografare il cielo in direzione opposta al sole, posizione nella quale
gli eventuali oggetti raggiungono la massima luminosità. Non dimentichiamo, tra l'altro,
che fu proprio E. Helin a scoprire nel 1976 il pianetino 2062 Aten, capostipite
dell'omonima famiglia.
Nel 1981 T. Gehrels cominciò a sviluppare e ad utilizzare le potenzialità offerte dalle
nuove tecnologie di ripresa costituite dai CCD e, a partire dal 1989, esplorò il cielo
con il telescopio Spacewatch di 90 cm dell'Osservatorio Kit Peak dell'Arizona sul quale
era installato un CCD di 2048x2048 pixels.
Per quanto riguarda l'emisfero Sud dobbiamo segnalare la survey fotografica ad opera di D.
Steel iniziata nel 1990 all'Osservatorio di Siding Spring nel Nuovo Galles del Sud
(Australia) utilizzando un telescopio Schmidt di 1,2 metri.
E' dunque soltanto una ventina d'anni che gli astronomi si stanno occupando della scoperta
dei N.E.O., ma i risultati raggiunti sono oltremodo lusinghieri: i dati in mio possesso
(che fotografano la situazione al giorno 11 agosto 2001 - dati provenienti dal Minor Planet
Center) indicano 111 Aten, 646 Apollo e 663 Amor.
Scarica qui
l'elenco degli Aten (Atens.zip - 8 kb)
Scarica qui l'elenco
degli Apollo (Apollos.zip - 36 kb)
Scarica qui l'elenco
degli Amor (Amors.zip - 35 kb)
Entro breve termine negli USA entreranno in
servizio tre nuovi telescopi progettati proprio per la ricerca dei N.E.O. e dotati di
sofisticatissimi CCD: lo Spacewatch II di 1,8 m (Kit Peak), la camera Schmidt LONEOS
(Lowell Observatory Near-Earth Object Survey) di 60 cm in Arizona ed il telescopio GEODSS,
installato alle Hawaii, di proprietà dell'aeronautica militare statunitense e usato fino
ad ora per inseguire i satelliti artificiali.
Si sta dunque gradatamente cercando di raggiungere l'obiettivo individuato dalla
Spaceguard Survey: grazie ad una rete internazionale di telescopi attrezzati con CCD
dell'ultima generazione (in grado di raggiungere una magnitudine V=22) catalogare in 25
anni il 91 % degli asteroidi potenzialmente pericolosi per la Terra.
Il testo originale del documento predisposto dall'apposita Commissione nominata dal
Congresso degli Stati Uniti e presieduta da E. Shoemaker è consultabile direttamente nel
mio sito (Spaceguard Survey) o, per
chi volesse una quantità maggiore di informazioni, al sito a cura della NASA - Ames Space Science
Division.
Una curiosità: il nome Spaceguard Survey è tratto da una analogo progetto suggerito in
un racconto (Rendezvous con Rama) da Arthur C. Clarke, noto scrittore di racconti di
fantascienza.
Non tutto si conclude, però, tenendo sotto
controllo il cielo.
Se tale fase è di primaria importanza e assolutamente irrinunciabile non lo è da meno
cominciare ad ipotizzare quali possibili misure si debba intraprendere nel caso in cui -
ahinoi - si giungesse un giorno ad avere la certezza che un proiettile cosmico stesse
puntando il nostro pianeta.
A grandi linee possiamo suddividere le misure difensive nel caso di impatto cosmico in due
grandi categorie: da un lato quelle volte a distruggere il
proiettile in marcia di avvicinamento verso la Terra, e dall'altro le misure che hanno
come scopo una variazione dell'orbita dell'asteroide o della
cometa.
Alla prima categoria possiamo grosso modo ricondurre i progetti di E. Teller (uno dei
padri della bomba atomica statunitense) che prevedono esplosioni finalizzate alla
polverizzazione del proiettile e che hanno trovato applicazione pratica nelle
sceneggiature di Armageddon e Deep Impact.
Molte osservazioni, però, si potrebbero fare a proposito di tale scelta:
1. anzitutto bisogna notare che l'esplosione non
scongiurerebbe completamente il pericolo, dal momento che i frammenti prodotti
continuerebbero la loro corsa verso il nostro pianeta, e ben conosciamo i gravissimi danni
che anche un frammento dal diametro di un centinaio di metri potrebbe provocare
2. la nostra società che, faticosamente e con molti
tentennamenti, sembra aver finalmente intrapreso la strada della riduzione delle armi
nucleari mal sopporterebbe una corsa al potenziamento delle armi nucleari (seppure
giustificata dalla salvaguardia dell'incolumità globale): come non condividere le
preoccupazioni di chi ipotizza la possibilità del "pazzo di turno" - caro a
tanti film di successo - in grado di far cattivo uso della sua chiave della stanza dei
bottoni?
3. per ottimizzare l'azione della carica esplosiva, questa
dovrebbe essere collocata in profondità, ricorrendo cioè all'azione di
astronauti-minatori, ma tale scenario è oltremodo carico di difficoltà oggettive legate
alla debole azione gravitazionale dell'oggetto.
La seconda categoria di misure protettive comprende, come si è detto, ogni progetto
che preveda di modificare l'orbita dell'impattore per farlo deviare dal suo percorso.
Concretamente sono state avanzate molte proposte: si va dal banale "tamponamento
cosmico" (mandare un razzo a sbattere sulla superficie dell'asteroide in modo da
cedergli energia cinetica in quantità sufficiente da modificarne la traiettoria) all'uso
di "lanciatori di massa" (una sorta di motore a reazione da collocare sulla
superficie dell'impattore che, scagliando nello spazio materiale estratto in situ,
apporterebbe le opportune correzioni di rotta) o al più fantascientifico impiego di
"vele solari" che, applicate all'asteroide, sfrutterebbero l'azione del vento
solare, emulando in questo gli antichi velieri che solcavano i nostri mari. Non si esclude
neppure, nel caso di asteroidi dall'elevato contenuto ferroso, di poter ricorrere a
potenti generatori di campo magnetico, gigantesche calamite in grado di attirare il corpo
celeste al di fuori della sua orbita o, nel caso di oggetti cometari, all'utilizzo di
potentissimi fasci laser in grado di originare, vaporizzando il materiale cometario, getti
di gas che si comporterebbero in tutto e per tutto come motori a reazione.
Molte (forse troppe) sono comunque le variabili in gioco, ognuna delle quali può essere
determinante per la scelta della strategia da impiegare: fondamentale è il tempo a nostra
disposizione dalla scoperta al momento previsto per l'impatto (ecco perché non si finirà
mai di sottolineare l'urgenza di monitorare il cielo), non meno importanti, però, sono le
dimensioni e la geometria del proiettile, la sua composizione chimica e la sua stessa
struttura fisica (oggetto compatto o aggregazione di frammenti).
Non tutti i metodi elencati sono attualmente praticabili e molti di essi rimarranno tali
ancora per molti anni (salvo imprevedibili avanzamenti tecnologici), ma questo non toglie
l'assoluta necessità di affrontare il problema considerando il più ampio ventaglio di
possibili interventi.
Riporto parzialmente una tabella presentata da A. Carusi in un suo articolo (Oggetti
vicini alla Terra: scoperta e difesa) apparso su Le Scienze n. 317 (gennaio 1995),
nella quale sono presentate le categorie dei casi di possibile intercettamento di oggetti
che si trovano su una traiettoria d'impatto con la Terra, in base al tempo di preavviso
utile per eventuali contromisure.
Categoria |
Tempo di preavviso |
Possibili azioni |
Tipo di oggetto |
Orbite ben
definite |
Decine o
centinaia
di anni |
Missioni
spaziali a lungo termine |
Asteroidi |
Orbite
incerte |
Anni o decine
d' anni |
Risposta
urgente senza margini di errore |
Asteroidi /
Comete |
Pericolo
immediato |
Da un mese
a un anno |
Ogni
possibile misura: emergenza |
Cometa di
lungo periodo / Asteroide appena scoperto |
Nessun
preavviso |
da 0 a 30
giorni |
Evacuazione
della zona d'impatto |
Cometa di
lungo periodo / Asteroide mai individuato |
Una carrellata a mio parere
completa delle possibili contromisure (attuali e futuribili) da adottare in situazione di
rischio-impatto è riportata nel vol.3 -cap.16 di Air Force 2025, uno studio effettuato
rispondendo alle direttive dei vertici dell'Air Force con lo scopo di esaminare idee,
possibilità e tecnologie necessarie agli Stati Uniti per restare anche nel futuro forza
dominante in campo aereo e spaziale.
Lo studio è stato presentato al pubblico il 17 giugno 1996 e, come affermato chiaramente
nelle note introduttive, ha la valenza di una ricerca e non rispecchia assolutamente la
posizione ufficiale dell'United States Air Force, del Dipartimento della Difesa o del
Governo degli Stati Uniti.
Si tratta di un documento molto lungo e articolato, che si prefigge di analizzare ogni
possibile scenario-rischio nel futuro, situazioni tra le quali, naturalmente, è
annoverato anche il rischio di un impatto cosmico. E' rintracciabile all'URL: http://www.au.af.mil:80/au/2025.
Per chi volesse, poi, approfondire anche numericamente l'argomento segnalo uno studio
accurato effettuato da T.J. Ahrens e A.W. Harris (Deflection and fragmentation of
near-Earth asteroids) pubblicato su Nature del 3 dicembre 1992 (vol. 360).
Un problema reale e molto sentito
anche in ambito scientifico è sicuramente il rapporto con i mass-media: come gestire la
comunicazione alla popolazione di un possibile evento impattivo?
Non intendo certamente a questo punto incanalarmi in una analisi etico-sociologica sul
diritto a conoscere e quello di non scatenare il panico collettivo e passo oltre lasciando
di buon grado questa analisi a chi vorrà occuparsene
Il problema è comunque reale e va seriamente affrontato.
La necessità di dotarsi di una scala oggettiva che possa indicare chiaramente il grado di
pericolosità di un oggetto scoperto sul cammino della Terra è molto sentita anche dai
ricercatori che si occupano di tali problematiche e proprio da uno di essi (Richard P.
Binzel, docente di scienze planetarie al prestigioso Massachusetts Institute of
Technology) è stata proposta l'adozione di una scala con codifica numerica e a colori
chiamata Torino Impact Hazard Scale in onore della città italiana che ha ospitato, nel
giugno 1999, un Workshop internazionale sui N.E.O.
Riporto di seguito la versione pubblicata sul n. 203 de l'Astronomia (novembre 1999, pag.
10)
Scala Torino dei rischi da impatto |
Eventi senza alcuna
probabile conseguenza |
0 |
La probabilità di una collisione è zero.
Questa indicazione si applica anche ad eventi riguardanti oggetti di piccole dimensioni
che, nell'eventualità di una collisione, è improbabile possano raggiungere intatti la
superficie terrestre. |
Eventi che meritano un
accurato controllo |
1 |
La probabilità che si verifichi una collisione è
estremamente bassa. |
Eventi che
meritano particolare attenzione |
2 |
Incontro a distanza ravvicinata in cui una collisione è
estremamente improbabile. |
3 |
Incontro ravvicinato con almeno 1 probabilità su 100 di
collisione in grado di provocare disastri a livello locale. |
4 |
Incontro ravvicinato con almeno 1 probabilità su 100 di
collisione in grado di provocare devastazioni a livello regionale. |
Eventi che
costituiscono una minaccia |
5 |
Incontro ravvicinato con una significativa minaccia di
collisione in grado di provocare devastazioni a livello regionale. |
6 |
Incontro ravvicinato con una significativa minaccia di
collisione in grado di provocare una catastrofe globale. |
7 |
Incontro ravvicinato con una minaccia estremamente
significativa di collisione in grado di provocare una catastrofe globale. |
Collisione
certa |
8 |
Collisione in grado di provocare disastri a livello
locale. Eventi simili si verificano in qualche luogo della Terra tra una volta ogni
50 anni e una volta ogni 1.000 anni. |
9 |
Collisione in grado di provocare devastazioni a livello
regionale. Eventi simili si verificano tra una volta ogni 1.000 anni e una volta
ogni 100.000 anni. |
10 |
Collisione in grado di provocare una
catastrofe climatica globale. Eventi simili si verificano non più di una volta ogni
100.000 anni. |
Non tutti nel mondo scientifico concordano appieno con
questo strumento e già c'è chi propone di apportare qualche modifica, ma questo non
toglie assolutamente nulla alla portata storica del lavoro di Binzel: il rischio di
impatto non è più relegato all'ambito della fantascienza, ma diventa una situazione
reale con la quale si deve - volenti o no - fare i conti.
Sono certo che l'adozione di uno strumento di questo tipo (sia esso la scala Torino
proposta da Binzel o una sua evoluzione) sarà ricordato come un passo fondamentale
nell'analisi scientifica del problema-impatto.
Per un ulteriore approfondimento di questo tema si può consultare la pagina Misuriamo il rischio.
In essa vengono viste più da vicino le Scale attualmente utilizzate dai ricercatori: la
Scala Torino (qui già presentata) e la Scala Palermo (più per addetti ai lavori).
In tal senso dovrà essere
ricordato anche il lavoro di altri due ricercatori, ai quali va ascritto il merito - primi
fra tutti - di aver quantificato il rischio di decesso imputabile ad un evento impattivo
paragonandolo ad altre cause di morte tristemente famigliari per i nostri tempi.
Mi riferisco alla fondamentale ricerca di C.R. Chapmann (del Planetary Science Institute
di Tucson - Arizona) e D. Morrison (del NASA Ames Research Center di Moffet Field -
California) pubblicato dalla prestigiosa rivista scientifica Nature nel 1994 (n. 367 pag.
33) con il titolo Impact on the Earth by asteroids and comets: assessing the hazard.
Un'ottimo articolo in italiano (non si tratta della semplice traduzione dell'articolo
apparso su Nature!) a firma di John e Mary Gribbin dal titolo Una polizza sulla vita
del mondo è stato pubblicato sul n. 171 de l'Astronomia (dicembre 1996).
Lascio al lettore più interessato l'approfondimento sui testi citati e riporto qui solo
alcune considerazioni di fondo e lo sconcertante risultato finale.
L'approccio al problema è quello tipicamente utilizzato dalle compagnie assicurative
quando, per stabilire l'ammontare dei premi delle polizze proposte ai clienti, devono
valutare le probabilità del verificarsi di un evento. Questo avviene, per dirla in
termini molto sbrigativi, considerando i casi verificatisi durante un certo intervallo di
tempo e rapportandoli al totale della popolazione campione.
Il guaio nel considerare in quest'ottica l'evento-impatto è non tanto nell'assenza di
documentazione, quanto piuttosto nel fatto che si tratta di un evento a minima
probabilità ma di elevatissime conseguenze.
Ripercorriamo, in sintesi, i conti.
Un impatto cosmico viene da Chapman e Morrison definito "da catastrofe
globale" quando provoca la morte di 1/4 della popolazione mondiale (si tratta
chiaramente di un valore arbitrario, che va comunque fissato per poter proseguire nella
valutazione); ammettiamo inoltre che un evento di questo tipo possa verificarsi ogni
500.000 anni.
Date queste premesse, possiamo trarre la conclusione che ciascuno di noi ogni anno ha una
probabilità su 2.000.000 di morire per tale causa: esprimendo i conti per esteso abbiamo
1 su (4 x 500.000).
Se ipotizziamo, infine, che una persona viva 100 anni, le probabilità salgono a 1 su
20.000 !
Numeri che, in sè, dicono poco, ma che acquistano un preoccupante significato nel momento
in cui andiamo a paragonarli alle probabilità che si verifichino altri sinistri
tristemente noti perchè presentati dalle cronache quotidiane (ricordiamo che i dati
presentati sono quelli del lavoro di Chapmann e Morrison e dunque si riferiscono a
statistiche U.S.A.):
PROBABILITA DI DECESSO PER PARTICOLARI CAUSE |
Causa della morte |
Probabilità |
Incidente automobilistico |
1 su 100 |
Assassinio |
1 su 300 |
Incendio |
1 su 800 |
Incidente con armi da fuoco |
1 su 2.500 |
Impatto con asteroide o
cometa (limite inferiore) |
1 su 3.000 |
Contatto elettrico |
1 su 5.000 |
IMPATTO CON
ASTEROIDE O COMETA |
1 su 20.000 |
Incidente aereo |
1 su 20.000 |
Inondazione |
1 su 30.000 |
Tornado |
1 su 60.000 |
Puntura o morso velenoso |
1 su 100.000 |
Impatto con asteroide o
cometa (limite superiore) |
1 su 250.000 |
Incidente con fuochi
artificiali |
1 su 1 milione |
Avvelenamento da cibo con
botulino |
1 su 3 milioni |
Acqua con contenuto di TCE
al limite EPA (*) |
1 su 10 milioni |
(*) EPA, Environmental Protection Agency; TCE, tricloroetilene.
Non c'è che dire: fa un certo effetto notare come la
morte per incidente aereo, inondazione o tornado sia da considerare meno probabile del
decesso in seguito ad un impatto cosmico!
Ricordiamo che, comunque, si tratta sempre di valutazioni statistiche e che in nessun caso
sarebbe consigliabile stipulare una polizza assicurativa su tale eventualità: il rischio
maggiore sarebbe non tanto il non poter essere liquidati dalla Compagnia Assicurativa,
quanto il trovarsi in una situazione nella quale il denaro riscosso non avrebbe più alcun
valore...
Certamente più redditizio sarebbe che i responsabili politici di ogni nazione decidessero
di destinare più fondi alla ricerca per l'individuazione degli oggetti pericolosi: questa
sì sarebbe una polizza che davvero varrebbe la pena di stipulare. |